Quest’anno ci ha benedetto con un doppio evento sportivo – ed estivo. Il mondo ha infatti già salutato gli Europei di calcio, vinti dalla Spagna, e si sta preparando alle Olimpiadi, che prenderanno il via il 26 luglio all’ombra della torre Eiffel, tra poco meno di una settimana. Il fermento c’è, ed è tanto: si tratta dei primi giochi olimpici post-Covid, che le cronache conserveranno per sempre ma che le persone non vedono l’ora di dimenticare, seppellendoli sotto i nuovi ricordi che si faranno in queste settimane. E non sono solo gli spettatori a desiderare un nuovo inizio: anche gli atleti non vedono l’ora, e in particolare una – Simone Biles – ha deciso di raccontare in una mini-serie – Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi – ciò che è stato e ciò che sarà. Kaleidoverse, di seguito, vi riporta una recensione dei primi 2 episodi caricati su Netflix il 17 luglio.
Perché la docu-serie sull’ultima atleta dei record – negli annali ce ne sono altri – sarà divisa in 2 parti: le ultime 2 puntate approderanno sulla piattaforma rossonera in autunno, presumibilmente proprio per seguire Biles in queste Olimpiadi. Ma concentriamoci su quello che abbiamo al momento: Simone Biles Rising vede alla regia Katie Walsh, che già aveva raccontato la ginnasta americana in Simone vs herself (2021) e si avvale della partecipazione di amici, parenti, colleghi e, ovviamente, di Biles, che si apre alle telecamere in maniera intima e consapevole.
Simone Biles Rising: di cosa parla
I 2 episodi di Simone Biles Rising raccontano la vita e la carriera della pluripremiata atleta americana. E il punto di partenza è la straniante atmosfera delle Olimpiadi di Tokyo, svoltesi in piena pandemia, che hanno fatto finire Biles sulle prime pagine, ma non per l’ennesimo elogio sportivo. La scelta di iniziare dalla caduta dell’atleta non è casuale e rappresenta l’inizio di una narrazione che esplora i lati più personali e intimi della ragazza, che si fondono come spesso accade con figure di una certa rilevanza pubblica con il noto e il conosciuto dalla massa.
Simone Biles si espone – non è la prima volta che lo fa – e porta regista e spettatori in un viaggio nella memoria che solleva, al passaggio, una moltitudine di questioni che si distaccano da lei e dalla sua attività di ginnasta e toccano temi più generali di cui si parla nel panorama sportivo da molto tempo, anche se con poche conseguenze visibili. Il risultato di questo percorso è sicuramente una presa di posizione e una riaffermazione di sé davanti al mondo – una potente difesa contro i detrattori, che l’hanno affossata nel suo momento peggiore – ma anche l’invito a una presa di coscienza più generale nei confronti dello sport agonistico.
Un album di ricordi
Simone Biles Rising si avvale, come da copione nel caso delle docu-serie, di un mix che include riprese originali, ricostruzioni parziali, interviste e materiale di repertorio, sia pubblico che privato. In questo caso Walsh è stata molto brava, perché il montaggio di tutti questi pezzi ha creato un mezzo potente che risuona un po’ alla maniera della lettera del signor Darcy in Orgoglio e pregiudizio e un po’ a quella del J’accuse di Zola e, soprattutto, perché crea una forte empatia nello spettatore.
La narrazione prende sempre come perno centrale il racconto di Biles, che non si limita a farsi intervistare ma accetta di farsi seguire nella sua vita quotidiana, ribaltando così davvero in maniera nuova il punto di vista e raccontando la persona prima che l’atleta. Una divisione che, al netto di quello che si vede, perde completamente spessore, andando a creare solo e semplicemente Simone Biles, persona complessa e sfaccettata come chiunque altra, alle prese con soddisfazioni, sfide e quotidianità e profondamente attaccata alle sue radici e alla sua famiglia, di cui racconta molto, quasi come se aprisse un album di ricordi davanti ai nostri occhi.
Affermazione di una rinascita
Come abbiamo detto sopra, il tema centrale della mini-serie – il titolo è indicativo in merito – è la rinascita di Simone Biles, che esce da un periodo oscuro e turbolento fatto di odio mediatico, esperienze traumatiche, terapia e un rapporto alquanto conflittuale nei confronti dello sport. E la scelta di mettere a nudo gli ultimi anni della sua vita – di scoperchiare e riordinare quegli momenti bui – è necessario affinché la gente possa comprendere l’impatto che la pressione e la salute mentale hanno in ambito sportivo.
Una cosa in particolare è la volontà da parte di Biles di affrontare, tramite la docu-serie, i suoi infiniti detrattori, che hanno reso ancora più difficile il periodo delle Olimpiadi del 2020 – durante le quali, ricordiamo, lei si ritirò, sollevando un polverone mediatico. A distanza di 4 anni la donna si fa avanti e sottolinea il difficile rapporto che ogni atleta agonistico ha nei confronti del pubblico e dei media, che costruiscono per loro un’immagine fortemente positiva ma anche incredibilmente forzata, che annulla qualsivoglia forma di umanità: la creazione dei modelli da seguire, che però addossano sulle persone dietro quelle foto patinate una pressione insostenibile.
Quando l’agonismo diventa tossico
A questo primo tema ne segue quasi immediatamente un altro: quello della tossicità in ambito sportivo. Qui a dare manforte contribuiscono tanto gli allenatori di Simone Biles – Cecile e Laurent Landi – quanto altre atlete, amiche di Simone o suoi esempi durante la crescita – che confermano quanto purtroppo già noto alle cronache. Il desiderio di perfezione, spesso associato allo sport e in particolare ad attività particolarmente performative come la ginnastica artistica nasconde mostri.
Negli anni passati la questione era già stata affrontata nel caso delle due allenatrici e sorelle Károlyi, allontanate dalla formazione delle giovani promesse della ginnastica proprio a causa dei loro metodi spartani e vessatori, soprattutto a livello psicologico, come raccontato anche nella serie. In questo caso il messaggio lanciato è di smettere di romanticizzare questo lato dello sport agonistico, che nasconde dietro l’istigazione alla rivalità tra atleti un complesso e consolidato meccanismo deleterio che non deve più essere tramandato, in favore di una collaborazione tra atleta e allenatore che crei robustezza e successo con metodi sicuramente più positivi.
Sport, corpo, bellezza
L’ultimo, grande punto che si affronta in Simone Biles Rising riguarda gli standard di bellezza, purtroppo ancora oggi molto presenti e collegati, sempre e comunque, alla percezione del grande pubblico, grande occhio giudicante e lapidario. Nel raccontare questo ulteriore aspetto della ginnastica – di cui Biles è stata oggetto, avendo una fisicità lontana dai canoni della ginnastica artistica – si pone l’accento sia sul passato, in cui l’aspetto esteriore doveva essere valutato molto più importante della salute fisica e mentale delle atlete – che sul presente, per dimostrare quanto le cose stiano cambiando.
In questa sede si parla anche della presenza delle atlete di colore in seno alle competizioni sportive, oggi motivo di orgoglio e di riconoscimento – ahimé, sempre troppo tardivo – e di riaffermazione di sé stesse in quanto diverse dal canone. Ancora una volta, si fa riferimento all’antagonismo imposto dall’opinione pubblica sul valore delle atlete, ridotto all’apparenza, che risulta l’unica cosa che conti anche quando il risultato è una medaglia d’oro. Ma, come fanno notare nella serie le persone intervistate, lentamente si sdoganerà anche questo macigno, riportando l’attenzione su eroi sportivi e modelli che non sono invincibili, e proprio in questo dovrebbe stare il loro valore.
Le nostre conclusioni su Simone Biles Rising
Simone Biles Rising è una mini-serie che ripercorre in 2 episodi la vita e la carriera di Simone Biles, campionessa olimpionica di ginnastica artistica. Con materiale di repertorio mediatico e privato, interviste ad amici ed ex-atlete olimpioniche come la protagonista e la sua diretta partecipazione alla docu-serie, Simone Biles Rising inizia come un approfondimento della vita di un’atleta che ha ridefinito la sua disciplina di appartenenza ma diventa qualcosa di più grande, affrontando di petto alcuni grandi temi attualmente in discussione nell’ambiente sportivo come la competizione tossica, gli abusi sulle atlete, la percezione dei media e del pubblico e gli standard di bellezza.
E lo fa senza mai togliere il riflettore dalla protagonista principale, che sceglie di ricorrere alla serie per affermare con fierezza di essere tornata, con tutte le sue fragilità, e che non ha nessuna intenzione di nasconderle. Avete già visto Simone Biles RIsing per prepararvi a dovere alle Olimpiadi imminenti? Raccontateci le vostre impressioni in un commento qui su Kaleidoverse, dove potete trovare, tra i nostri ultimi articoli, la recensione di The Boys 4, quella di Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio e quella di Svaniti nella notte, il nuovo thriller con Scamarcio.