L’Italia, lo sappiamo molto bene, arriva sempre abbastanza in ritardo quando si tratta di seguire i trend e le mode dilaganti, soprattutto per quanto riguarda le piattaforme di streaming e il mondo dei social. Se sono ormai già parecchi anni che il pubblico adorante impazza dietro a fenomeni come Bridgerton e adattamenti in costume di varie storie e romanzi, il Bel Paese si è fatto attendere fino a qualche anno fa, quando ha iniziato a sfornare novità interessanti come La Legge di Lidia Poët e Briganti. L’ultima arrivata nel novero di questo sottogenere in Italia è però la miniserie tratta dal famoso romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, di cui Kaleidoverse vi parla in questa recensione.
La serie è arrivata nel catalogo rossonero il 6 marzo scorso ed è il secondo adattamento, dopo l’omonimo film con Alain Delon e Claudia Cardinale del 1963. La regia è di Tom Shankland (The Children), Giuseppe Capotondi (The Double Hour) e Laura Luchetti (The Beautiful Summer), la sceneggiatura di Benji Walters (Obsession) e Richard Warlow (Ripper Street). Il cast principale è formato da Deva Cassel (Bethlehem)), Benedetta Porcaroli (Baby), Kim Rossi Stuart (The Murri Affair), Saul Nanni (Brado), Astrid Meloni (Hypersleep), Francesco Colella (The Good Mothers), Paolo Calabresi (Il talento di Mr. Ripley) e molti altri. E ora, come di consueto, apriamo le danze con la trama.
Il Gattopardo Recensione: la trama
Italia, 1860. All’alba dell’impresa dei 1000 e dell’Unità d’Italia ci troviamo in una Sicilia che non sa a quale santo rivolgersi e seguiamo da vicino le vicende della nobile famiglia Salina che, impotente di fronte al dilagare della rivoluzione e di questa tanto vociferata unificazione nazionale deve fare buon viso a cattivo gioco e trarre il meglio che può dalla situazione per non perdere il proprio prestigio sociale. Spiccano in questa corsa agli armamenti sociali e politici don Fabrizio (Kim Rossi Stuart), il Gattopardo, un uomo che farà di tutto per tenere insieme la famiglia e non rinunciare a titolo, portafoglio e terreni.
Abbiamo poi Tancredi (Saul Nanni), suo amatissimo e ambizioso nipote che invece vede nell’impresa garibaldina l’occasione di ottenere qualcosa che sia solo suo, e Concetta (Benedetta Porcaroli), la secondogenita di don Fabrizio, che attraverserà le proprie tragedie personali, diventando forte e indipendente. La storia occupa un arco di qualche anno e, come accade nelle grandi storie, fonde sapientemente la storia dei singoli con la Storia che leggiamo oggi nei tomi scolastici, dando allo spettatore un resoconto in prima persona dei tumulti che hanno portato l’Italia a nascere in senso politico.
Il Gattopardo è il soprannome di don Fabrizio, patriarca della nobile famiglia Salina, al centro della storia.
Una “meravigghia” di serie
Dal punto di vista registico Il Gattopardo è una serie che omaggia la Sicilia facendo largo uso di piani sequenza che abbracciano l’ambiente e le meraviglie naturali che la caratterizzano. L’unica pecca che chi scrive ha notato è l’uso forse un po’ eccessivo di una fotografia giallastra, che sicuramente evoca un immaginario esotico e arabeggiante ma che corre il rischio di trasformare la Sicilia in una sorta di Messico italiano – mi riferisco all’uso, da parte di registi soprattutto americani, di questo filtro giallastro per ritrarre nazioni o luoghi caldi ed esotici, enfatizzando una sorta di separazione spaziale.
Per quanto riguarda invece la sceneggiatura la serie si articola in 6 episodi: ognuno racconta un pezzo della storia dei Salina in relazione a quella di altri personaggi come i Sedara e altri eminenti rappresentati della politica italiana di quegli anni, enfatizzando in egual misura sia la componente storica che i moti passionali dei personaggi. E in questo va un plauso al cast che, coadiuvato dalla regia e dal reparto trucco e parrucco, ha dato il meglio di sé. Kim Rossi Stuart, per esempio, dà vita a un don Fabrizio passionale, profondo, complesso, un vero e proprio protagonista, degno del titolo della serie.
Affinché tutto resti uguale, tutto deve cambiare
“Affinché tutto resti uguale, c’è bisogno che tutto cambi” è un mantra che viene ripetuto più volte nel corso della serie e che incarna al contempo lo spirito di conservazione e l’innovazione, 2 forze che si spingono vicendevolmente l’una contro l’altra. Se, per esempio, all’inizio don Fabrizio rifiuta di cedere al compromesso politico che gli è stato imposto, ben presto è costretto a ricredersi e a doversi impegnare nell’adattarsi. E il cambiamento sarà, in conclusione, ciò che lo renderà alla fine un personaggio tragico.
C’è poi Tancredi, che accoglie il cambiamento per inseguire le sue ambizioni, proprio come fanno Angelica (Deva Cassel) e don Calogero Sedara (Francesco Colella). Sono i moti rivoluzionari ad enfatizzare i desideri dei singoli, come detto sopra, e a creare il ponte tra storia individuale e Storia collettiva, ma non solo: lo spettatore ha modo di capire a fondo sia le motivazioni di una famiglia conservatrice come quella dei Salina che le motivazioni di famiglie sicuramente più nazionalpopolari come quella dei Sedara, che sfruttano l’occasione per compiere la famosa scalata sociale ed emanciparsi.
I moti rivoluzionari spingono cambiamento e immobilità a scontrarsi.
La potenza delle passioni
Un altro aspetto interessantissimo è – forse lo avrete intuito – la passionalità di questo adattamento de Il Gattopardo. Come dicevo sopra Kim Rossi Stuart in questa serie è stato eccellente, ha dato vita a un don Fabrizio complesso e complicato, dilaniato dalla paura di perdere la sua famiglia e tutto ciò che conosce ma al contempo vizioso, vanitoso e capriccioso. E non è soltanto don Fabrizio ad esprimere passionalità: tutti i personaggi sono passionali, anche quelli più freddi e spietati, e mi riferisco in particolar modo a Concetta che, nonostante il carattere mite racchiude in sé un tumulto che farà fatica ad emergere.
C’è poi Tancredi, che dà seguito alla sua passione inseguendo le sue ambizioni da ogni punto di vista per poi arrivare ad essere e ad apparire per ciò che è davvero. Inoltre, per quanto riguarda le passione importante è anche il tema della famiglia che viene esplorato fino in fondo, soprattutto attraverso le parole di don Fabrizio, che nota con disappunto di aver donato il proprio affetto alle persone sbagliate e di conseguenza molla la presa sulle sue pretese, stanco e afflitto da ciò che pensava di conoscere e che si è rivelato invece un’illusione.
Le nostre conclusioni su Il Gattopardo
Il Gattopardo adatta in 6 episodi il classico di Giuseppe Tomasi di Lampedusa svecchiandolo senza snaturarlo. La regia attenta riesce a posarsi su luoghi e persone senza tralasciare niente, mentre la fotografia, che in alcuni momenti esalta la bellezza della Sicilia e degli interni d’altri tempi, in altre occasioni dà da riflettere sulla necessità di enfatizzare la meridionalità della regione, rendendola una sorta di Messico nostrano. La sceneggiatura ha saputo rendere in maniera eccellente la complessità dei vari personaggi, che non diventano maschere di sé ma restano individui tanto belli quanto umani di fronte allo spettatore, che può rivedersi in ciascuno per un motivo diverso.
E adesso, come sempre, lascio la parola a voi: avete visto Il Gattopardo? Se sì, cosa ne pensate? Lasciateci la vostra in un commento qui su Kaleidoverse o sulla nostra pagina Instagram, che potete seguire per restare sempre aggiornati sulle ultime novità in campo cinematografico, seriale, animato e videoludico. Vi lascio, prima di salutarvi, anche i rimandi ai nostri ultimi articoli: la recensione di Another You, quella di LOL Talent Show 2 e quella dell’ultimo capitolo di One Piece. Alla prossima!
I Pro de Il Gattopardo
La regia esalta la bellezza scenografica, quella stilistica e la presenza scenica del cast;
La sceneggiatura riesce a raccontare ogni sfaccettatura di questa storia complessa;
La serie regala un prodotto che riprende un classico della letteratura con freschezza e genuinità.
I Contro de Il Gattopardo
La fotografia potrebbe apparire un po’ stereotipata in alcune scene;
Il cast più giovane ha sicuramente molto su cui lavorare.