Quando pensiamo al cinema italiano, ci vengono in mente classici come La Dolce Vita, western come Il Buono, il Brutto e il Cattivo e commedie come I Soliti Ignoti, ma difficilmente ci verranno in mente dei film dell’orrore. Oltre ai maestri Dario Argento e Mario Bava infatti, la lista di opere degne di nota di genere horror provenienti dal nostro Paese scarseggia, ed è proprio questa mancanza a rappresentare per Roberto De Feo e Paolo Strippoli il punto di partenza per la creazione di A Classic Horror Story, in uscita su Netflix il 14 giugno. La pellicola, sin dal titolo, si figura come una critica alla Settima Arte italiana, e utilizza degli elementi del folkore mediterraneo per sviluppare la storia di cinque persone che si trovano nella “classica situazione horror“: un bosco nel mezzo del nulla, un camper rotto e una casa dall’aspetto inquietante.
Nel corso della narrazione, che nella sequenza iniziale ricorda vagamente il classico Non aprite quella porta, seguiamo le vicende della stupenda e giovane Elisa, la quale si trova al principio di una gravidanza non voluta e che si trova a utilizzare un’app di carpooling per raggiungere la propria famiglia; sale quindi a bordo di un camper in cui incontrerà gli altri protagonisti della vicenda: il guidatore nonché influencer in erba Fabrizio, la dolce coppia composta da Sofia e Mark e il tenebroso dottore Riccardo. I cinque, come in ogni film horror che si rispetti, subiranno un incidente che li catapulta nel mezzo di un enorme bosco apparentemente senza via d’uscita, dove i cellulari non prendono e l’unico edificio presente è una casa abbandonata.
La leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso
Da questo momento in poi il gruppo può contare solo sulle proprie forze, ma ogni idea per fuggire dall’ostico luogo sembra inutile. Quando però prendono coraggio e decidono di esplorare i dintorni, la situazione peggiora drasticamente, le scoperte che fanno non sono per nulla allettanti e l’intento di A Classic Horror Story sembra diventare chiaro. Al posto del serial killer con la motosega ci vengono però presentati svariati elementi satanici che rimandano alla leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i padri fondatori della Mafia.
La leggenda narra che tre cavalieri spagnoli, fuggiti da Toledo, si rifugiarono in una cava di argilla per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni. Al termine di questo periodo ne uscirono come uomini nuovi e si divisero la società della malavita: Osso fondò la Casa Nostra in Sicilia, Mastrosso la Camorra a Napoli e Carcagnosso la ‘Ndrangheta in Calabria. All’interno di A Classic Horror Story i tre vengono rappresentati come tutt’altro che nobili cavalieri, ma come un’inquietante versione delle Tre Scimmie Sagge del “non vedo, non sento, non parlo”, e saranno alla base di un culto satanico responsabile di eventi a dir poco cruenti e sanguinosi.
Il folklore italiano in A Classic Horror Story
I registi non hanno infatti avuti paura a utilizzare un’ingente quantità di sangue in A Classic Horror Story, rendendolo quasi ai livelli di un film gore. L’opera parla con i fatti, che vediamo in prima linea, e non punta sulla suspance o sul timore psicologico come la maggior parte degli horror in uscita negli ultimi anni; nulla viene lasciato all’immaginazione, e l’unica cosa che possiamo fare è tentare di predire chi si salverà del gruppo e chi verrà brutalmente ucciso. A concorrere in questo clima satanico vi sono anche i colori utilizzati dalla regia: le scene vengono riprodotte su toni molto intensi di blu e di rosso in modo da rappresentare la paura e il sangue, e rendono l’atmosfera della pellicola più interessante e affascinante.
Come accennato al principio, A Classic Horror Story è basato sul folklore dell’Italia del sud, ed è uno degli elementi più preponderanti della pellicola. Vengono infatti riprodotte in diversi momenti della narrazione delle canzoni classiche italiane che, se a primo impatto sembrano cozzare con l’atmosfera del film, in un secondo momento acquistano un senso e calzano a pennello con la trama. Anche il tema della mafia viene introdotto a poco a poco nell’opera: se inizialmente è solo protagonista di una battuta dei personaggi, guadagna progressivamente più importanza, diventando l’elemento centrale dell’opera attorno a cui ruotano tutte le vicende.
Un sospiro di solievo tra il sangue
Nonostante il film sia sanguinoso e cruento, vengono inseriti dei momenti di comicità per spezzare la tensione e alleggerire l’atmosfera pesante; queste chicche sono principalmente offerte da Fabrizio, il quale rappresenta lo “sfigato” del gruppo e ha sempre una battuta pronta. Francesco Russo è stato particolarmente bravo a immedesimarsi nel ragazzo, e con la sua performance ha rubato la scena a tutti gli altri personaggi, che risultano sempre in secondo piano rispetto a lui. Anche quando Elisa, interpretata dalla stupenda Matilda Lutz, diventa la vera protagonista di A Classic Horror Story, appare leggermente sottotono, seppur la sua interpretazione sia eccellente.
Per quanto riguarda gli altri membri del gruppo, non ci hanno convinti completamente, e in particolare il personaggio del doc. Riccardo rimane fin troppo vago e misterioso, non permettendo agli spettatori di empatizzarvi. Degno di nota invece il personaggio interpretato da Cristina Donadio che, seppur abbia un ruolo minore nel film, conquista la scena e aggiunge un livello di profondità alla storia. Purtroppo però, seppure ci venga fornita una spiegazione dei fatti verso la fine dell’opera, la trama non è chiara, e molti degli elementi rimangono senza una motivazione, lasciandoci con l’amaro in bocca alla fine della visione.
A Classic Horror Story: cliché o originalità?
Anche se non possiamo dirvi molto per non rovinarvi la visione, il finale di A Classic Horror Story è abbastanza soddisfacente e inaspettato, e ricalca ancora una volta la critica all’industria cinematografica italiana. Oltre a questo, vi è anche una leggera critica alla società attuale, dove tutti dipendono dal proprio smartphone e lo hanno sempre in mano come se fosse un prolungamento del braccio. Alla fine dell’opera, dopo aver accompagnato i protagonisti in un viaggio a dir poco terrificante, ci sentiamo anche noi strani ed estraniati, e nonostante dovremmo sentirci sollevati che l’incubo sia finito, ci rimane un piccolo dubbio che, da qualche parte nel nostro Paese, possa essere tutto vero.
Riassumendo, A Classic Horror Story è un’opera che riesce nel proprio intento: creare un film dell’orrore diverso e originale, rompendo i cardini della cinematografia italiana ma utilizzandone la tradizione. Nonostante il titolo e l’inizio della pellicola siano cliché, la trama si rivela interessante e inaspettata, offrendoci i giusti plot twist per mantenere alta l’attenzione e rendere il prodotto originale, non solo rispetto agli altri lungometraggi italiani, ma anche rispetto all’intero catalogo horror presente su Netflix. Se siete amanti del genere vi consigliamo quindi di guardarlo, e se questa recensione vi è piaciuta vi invitiamo a iscrivervi al nostro canale Telegram e seguirci su Kaleidoverse per non perdervi nessuna novità sul mondo del cinema e dei videogiochi.
L'intento di Roberto De Feo e Paolo Strippoli in A Classic Horror Story è chiaro: creare un film horror che rompa gli stereotipi della cinematografia italiana, facendone una critica esplicita, e che riesca a sorprendere il pubblico. I registi centrano in pieno i loro obiettivi, e l'inserimento del folklore mediterraneo e della Mafia rendono l'opera originale e interessante anche per il pubblico straniero. Seppure le interpretazioni dei personaggi siano degne di nota, la scrittura di alcuni di essi risulta sottotono rispetto ad altri, e la trama presenta delle lacune che non ci permettono di comprendere a pieno le motivazioni alla base degli avvenimenti. Nonostante i difetti, la pellicola Netflix rimane comunque valida, e merita una visione se siete amanti del genere.